Il Madagascar è abitato da 18 gruppi etnici, spesso chiamate tribù, con evidenti tratti asiatici e africani mescolati a caratteri più propriamente arabi, indiani ed europei, questi ultimi più evidenti nelle popolazioni costiere. Almeno tre le prove che confermano la tesi di una prima colonizzazione proveniente dalla Malesia e dall’Indonesia: la corrispondenza di alcune informazioni contenute nel DNA dei Malgasci e dei Malesi; la lingua Malgascia, che presenta un lessico corrispondente al 90% a quello della lingua Ma’anyan, parlata nella parte meridionale dell’isola del Borneo; l’epicanto, la piega cutanea dell’occhio davanti alla palpebra in direzione della regione nasale. Gli abitanti di Nosy Be sono di etnia Sakalava, una delle tribù di più chiara origine africana (bantu), che ebbe origine sulla Grande Terra e fiorì nel XVI secolo, dando vita ai grandi Regni di Menabe e Boina.
L’ascesa dei Merina, etnia degli altipiani centrali, li ha poi confinati sull’isola di Nosy be e nel suo arcipelago.Oggi oltre che a Nosy Be, si possono trovare su tutta la costa Nord-Occidentale del Madagascar. Fu una popolazione particolarmente attiva nel commercio degli schiavi e del bestiame, cha scambiavano con gli Europei in cambio di armi; abili nella navigazione, con le loro canoe con bilanciere si spingevano fino alle Comore o alle coste dell’Africa Orientale. Oggi questa abilità è trasferita all’attività di pesca, molto sviluppata sull’isola. Altre attività di sostentamento sono l’allevamento di zebù e la coltivazione di riso e manioca, tutti alimenti che costituiscono la dieta base degli abitanti di Nosy Be. Da notare come qui vengono mangiate anche le foglie di manioca, spesso scartate dalle popolazioni dell’America Centrale e del Sudamerica in favore della sua radice a tubero. Probabilmente il nome Sakalava deriva dall’arabo saqaliba e indirettamente dal latino esclavus, entrambi col significato di schiavo.
La musica Malgascia esprime su tutta l’isola il sincretismo della cultura del Madagascar. Ha saputo conservare il patrimonio antico dei primi colonizzatori del Sud-Est Asiatico, unitamente a elementi della tradizione francese, araba e africana. Gli abitanti di Nosy Be esprimono un grande amore verso la musica e la danza. Il ritmo che, oltre al pop malgascio moderno, suona nei bar e nei locali è il Salegy, un genere del Nord del Madagascar che ha varcato anche i confini del paese e ha acquistato una discreta popolarità commercfiale sul mercato internazionale.
Ebbe origine nelle province di Mahajanga e Antsiranana (Diego Suarez) negli anni 50 con una connotazione acustica; è diventato oggi un ritmo fortemente vivace, funky, con chitarre e basso elettrici dominanti e un’incalzante sezione di percussioni ad opera di batteria o djembé.Nella musica tradizionale malgascia predominano gli strumenti a corde. A Nosy Be si trovano suonatori di Kabosy, una sorta di mandolino di forma quadrata, e il Valiha, una varietà di cetra tubolare, costituita da una canna di bambù che serve da cassa armonica e una serie di 21-24 corde. Sturmenti simili si trovano anche nella penisola indocinese o nelle Filippine. Il suono del Valiha fornisce la colonna sonora ideale per un tramonto sul Mont Passot, per il rientro dei pescatori sulla spiaggia di Madirokely o per un aperitivo dopo una giornata in foresta.
Il Madagascar e Nosy Be sono un ottimo esempio di convivenza pacifica e rispettosa di diverse religioni nello stesso luogo. Circa la metà della popolazione di Nosy Be è cristiana, suddivisa fra Cattolici e Protestanti, i primi leggermente più numerosi dei secondi. E’ presente anche una minoranza di Musulmani, in genere nosybeini con origini indo-pakistane o comoriane. Ma la maggiornaza della popolazione è dedita a culti tradizionali locali, centrati in particolar modo su culto degli antenati defunti. In generale è creduto che gli antenati (razana), dopo la morte divengano divinità e seguano le vicende dei loro discendenti ancora in vita e la loro porta di ingresso nel mondo dei vivi siano i luoghi sacri e di culto (come l’abero sacro di Mahatsinjo), che in lingua malgascia vengono designati con la parola doany.
Questi avi prendono possesso di una persona, un medium, che gioca un ruolo di intermediazione tra mondo dei morti e dei vivi. E’ questo il processo definito tromba, ossia l’essere dominato e posseduto da forze occulte. I riti sono un momento di eccitazione collettiva, stimolata da canti, balli e grandi quantità di rhum locale. I luoghi di culto sono contraddistinti da drappi di colore rosso e bianco, i colori della corona Sakalava. Il rosso rappresenta i volamena, quel ramo di famiglia che discende dal re e dalla sua prima sposa; il bianco i volafotsy, la discendenza di un re e della regina che non è stata la sua prima sposa. I culti tradizionali sono talmente radicati nella credenza popolare che anche chi si converte al Cristianesimo ne mantiene tratti e ritualità, dando così vita a un interessantissimo sincretismo religioso.
Se vi trovate a Dzamandzar intorno alle cinque del pomeriggio, sarete sicuramente attirati dalla musica ad alto volume che proviene dalla piazza principale del villaggio, attorno alla quale è stata innalzata una recinzione. Se poi foste talmente curiosi da voler sapere cosa sta succedeno in quella piazza, dovrete acquistare con pochi Ariary un biglietto d’ingresso ad un botteghino allestito in modo a dir poco precario e poco visibile. Ne vale la pena, perché assisterete ad un incontro di Moraingy. E’ una forma di combattimento a mani nude, che permette colpi anche con piedi, ginocchia, gomiti e testa, che avviene in un ring al centro della piazza accompagnato da percussioni e musica assordante, la tradizionale musica Salegy.
Questa lotta ha avuto origine nella costa Occidentale del Madagascar, sulla falsa riga della lotta Tomoi malese, per poi diffondersi su tutta la Grande Terra, fino a sconfinare alla Riunione, Comore, Seychelles e Mauritius. E’ un momento di euforia collettiva, di tifo sfrenato per il rappresentante del proprio villaggio, di festa e di aggregazione. Essere lottatore di Moraingy a Nosy Be è anche uno status symbol: chi lotta a mani nude guadagna il rispetto da parte della popolazione. Durante i combattimenti, sia gli atleti che gli spettatori sono soliti masticare foglie di kat, un arbusto originario dell’Africa Orientale che rilascia nel corpo una sostanza di natura anfetaminica, con effetti di repressione della fame e della fatica e con un notevole effetto analgesico.
Che sia per finalità estetiche o piuttosto per un’esigenza curativa o di protezione solare, chi visita il Madagascar dovrà provare almeno una volta il Masonjoany. E’ prodotto cosmetico molto comune a Nosy Be e nel Nord Ovest del Madagascar che si ottiene grattando con una particolare pietra i ramoscelli del Sandalo del Madagascar (Santalina Madagascariensis o Enterospermum Madagascariensis); se ne ricava una polvere che deve essere mescolata con acqua e olio e poi applicata in fretta sul viso, prima che secchi.
Ha proprietà lenitive, disinfettanti, rilassanti, asettiche e soprattutto protegge la pelle dai raggi UV, particolarmente intenso in questa zona non lontana dall’Equatore. Il Masonjoany è usato spesso come una sorta di trucco o un accessorio decorativo per il viso femminile, con le donne malgasce che privilegiano disegni floreali o simmetrici, anche di diversi colori. Un vero sapere ancestrale che il popolo malgascio ha saputo preservere con cura.